La prima volta l'abbiamo incontrato nel camerino de Il Covo, storico locale bolognese in cui di lì a breve si sarebbe esibito per un live speciale, dove i Massimo Volume eseguirono soltanto Stanze, il primo lavoro, succedendo sul palco ai Giardini di Mirò (si festeggiavano i 20 anni di vita del Covo).
La seconda, in una diretta telefonica nel corso de Gli IndiePatici.
A voi il gusto di indovinare quali domande siano "vecchie" e quali nuove (con una dovuta eccezione). O semplicemente di godervi le parole di Mimì.
1) Tornano dunque i Massimo Volume, dopo troppi anni di assenza. Stanze, il primo lavoro, è del 1993. Registrato in soli tre giorni, dopo aver iniziato a suonare in una cantina, con due casse talmente sgangherate da costringervi a tenerle al massimo volume (da qui il nome del gruppo), e esservi fatti notare con un EP. Da quella cantina alla pubblicazione di Stanze quant'è cambiato in voi in termini di consapevolezza? e da allora ad oggi?
Da allora ad oggi è cambiato, sì, come è cambiato l'approccio del pubblico nei nostri confronti, all'inizio è stato difficile anche se non eravamo i primi a proporre la parola recitata in musica, però c'erano pochi esempi, gli Starfuckers prima di noi, in parte i CCCP (che utilizzavano più una litania). Rispetto a venti anni fa c'è più attenzione nei nostri confronti, prima c'era solo un nocciolo duro che ci seguiva. Dagli inizi invece è cambiato che la scena all'epoca viveva la pubblicazione di un disco come un punto di arrivo, mi ricordo che il giorno che prendemmo in mano le copie di Stanze fu emozionante.
2) Nel libretto di Da qui (1997) citate Alejandro Jodorowsky: "io allora comprendo che non è bene cercare la sicurezza, perché conduce alla morte; e che è meglio vivere nell'incerto"; mentre in un pezzo di "Club Privé" (1999) canti "io non ho speranza, ma credo nella cura" in un modo anche ossessivo. E' una filosofia di vita la tua, che comprende entrambi gli estremi, o nel '99 stavi lavorando alla stesura della legge Biagi?
(ride, ndr) A quella frase di Jodorowky tengo molto, venivo dalla lettura di "Teresa si arrabbia con Dio"...lo conosco poco come regista, ma quel romanzo mi piacque tantissimo e volevo che ci fosse lui in qualche maniera, perché mi aveva influenzato anche nella maniera della scrittura. Ma i nostri testi sono pieni di contraddizioni, anche nello stesso brano: questa sera faremo Tarzan, le cui prime strofe sono in completa contraddizione con la seconda parte, ma nel complesso poi secondo me funzionano (ride, ndr).
3) In Alessandro, invece, che è una canzone di Stanze, descrivi un disagiato, ma dalla sua prospettiva, e la canzone alla fine lascia una sensazione positiva, sembra parli di cose fatte da una persona per arrivare a un obiettivo. Ne Il Primo Dio invece citi - e la dedichi - a Emanuel Carnevali, poeta, scrittore, agitatore culturale, una sorta di eroe romantico disperato nella consapevolezza di aver perso la giovinezza senza essere riuscito ad arrivare. Oltre che per le storie umane, perché questo fascino per le persone che in qualche modo non sono arrivate? è l'idea che avrebbero potuto dire tanto?
Sai, è difficile capire quando una persona sia degna di essere raccontata, non riesco a rispondere, non c'è solo la disperazione ma forse un rapporto di solitudine rispetto all'esistenza. Mi piace il rapporto di solitudine rispetto al mondo. Alessandro spesso è stato scambiato per un autistico, in realtà è un ragazzo con problemi motori. Mi piace che cogli una positività nel testo, perché era un ragazzo comunque energico. Nel caso di Carnevali forse mi affascina più la voglia e la sete di successo, e credo che lui lo volesse con qualsiasi mezzo, era anche spregiudicato e dunque non c'è un crogiolarsi nel fallimento, non è un "loser" e non è mai stato affascinato da quella figura.
4) Avete nel vostro curriculum la sonorizzazione di un film muto, "La caduta della casa Usher" (Jonathan Epstein, 1928), ma anche la partecipazione alla colonna sonora di "Almost Blue", con alcune canzoni. Il vostro rapporto con il cinema? quale delle due situazioni è più adatta a voi?
Sono state entrambe belle esperienze, perché si lavora in funzione del film quindi ci si sente deresponsabilizzati rispetto al disco vero e proprio. Esperienze anche snelle perché siamo riusciti a completare la colonna sonora in un mese e mezzo-due, tempo brevissimo se consideri che di solito per completare un disco impieghiamo almeno un anno e mezzo-due. Ne capitassero di occasioni del genere! In realtà il mondo del cinema è molto chiuso, con Alex Infascelli (regista di Almost Blue, ndr) eravamo amici e la collaborazione è nata in maniera non ufficiale, da un rapporto di amicizia. L'altra è stata su commissione, è un periodo in cui sono richieste le rimusicazioni, l'hanno fatto anche Marlene Kuntz e Yo Yo Mundi. Il problema è anche che il numero dei film è limitato, non si riesce a dare neanche un'impronta propria al film.
5) Il ritorno alla musica è avvenuto proprio dopo la sonorizzazione de “La caduta della casa Husher”. In che modo questa esperienza è stata uno stimolo?
E’ stata uno stimolo perché la rimusicazione è stata un lavoro inedito. Nel riuscire a tirare fuori ancora della nuova musica, ci è tornata voglia di rimetterci in gioco. Così abbiamo pensato a delle canzoni nuove, a un disco nuovo. Poi è passato del tempo, dalla sonorizzazione all’inizio del lavoro per “Cattive Abitudini”, mentre il disco è venuto fuori piuttosto in fretta.
6) I Massimo Volume si sono ufficialmente sciolti nel 2002, e riuniti nel 2008. A parte che ho letto che c'erano diverse richieste per concerti, quand'è che personalmente hai capito che era il momento di ricominciare? e visto che avete vissuto al vertice gli anni '90, e ho letto che tra i nuovi artisti stimi Le luci della centrale elettrica, cosa c'è da ricordare "di questi cazzo di anni zero"?
La reunion come detto è avvenuta grazie alla sonorizzazione, un lavoro su commissione del Museo del Cinema di Torino per cui ci è sembrato bello rientrare con un disco nuovo e originale. Di questi anni zero non lo so, sicuramente il disco di Vasco perché è stato importante, non saprei, mi sembra anche un periodo abbastanza breve, per i nostri tempi abbiamo "ciccato" due dischi...
7) Una domanda su una tematica frequente: ieri il TEMPO - per i Massimo Volume - scorreva lungo i bordi e aspettava un segnale. Le anime dei personaggi che descrivi sembrano incastrate in un ingranaggio mentre: “la vita è solo a una fermata da qui, basta una moneta per raggiungerla”. Citandoti di nuovo “il tempo oggi è un suono oppure un lamento”?
Sicuramente “Cattive Abitudini” soffre il passaggio del tempo. Non c’era un’idea di concept, ho scritto i testi come di solito accade, anche con una certa incoscienza. Rileggendoli, mi sono accorto che la parola “tempo” ricorre quasi sempre e probabilmente, per me, forse è un’ossessione. Forse ho la paura del tempo che passa, sia della morte ma non tanto della vecchiaia quanto del fatto che rimanga poco tempo da vivere. Sicuramente c’è un tema in Cattive Abitudini, forse è questo.
8) Ci sono stati cambi di formazione come l’ingresso di Stefano Pilia. In questo anno di gestazione avete creato una nuova identità oppure l’identità dei Massimo Volume era troppo forte?
Stefano si è inserito in uno stile che era già nostro però sicuramente lo ha anche spostato. Rispetto agli altri dischi c’è meno rigidità, Cattive abitudini mi sembra che scorra via più leggero. Delle atmosfere mi ricordano il suono della west coast, un suono che mi piace molto. Per dare l’idea di quella pastosità, morbidezza che forse mancava ai precedenti lavori.
9) Parlando del cantato-parlato, hai spiegato in altre interviste che poni grande attenzioni ai testi perché il rischio di questa soluzione è che le parole "coprano" la musica, e diano quasi fastidio all'ascoltatore. Questo condiziona evidentemente le canzoni, vorremmo sapere come nascano in effetti.
Sì, quando componiamo una canzone ci pensiamo sempre che non ci sarà un cantato ma un parlato, e quindi dobbiamo muoverci entro un territorio delimitato. E' vero anche che prospetticamente la voce parlata è molto vicina all'ascoltatore, in maniera anche fastidiosa, per cui la scelta delle parole è importante per non diventare tronfi o retorici. Nello stesso tempo la scelta è stata dettata da un nostro limite, che io non canto, non so cantare. Siamo stati bravi a farlo diventare uno stile, ma io stesso lo vivo come un limite, nei dischi la prima cosa a cui faccio caso come ascoltatore è la voce, quindi lo vivo come un limite, ma ormai mi ci sono anche adattato.
10) Oggi non si può più dire che il disco è il punto di arrivo, come ci raccontavi succedeva vent'anni fa, anche perché coi nuovi supporti ad esempio una canzone esce prima in formato digitale, viene messa a disposizione su internet...che ne pensate di questo momento, come avete vissuto l'avvento del digitale?
Mah, sono trasformazioni epocali che accetti per quello che sono. Secondo me nessuno ci ha capito poi molto, credo sia un periodo di passaggio, fra dieci anni ci sembrerà sorpassato. Venendo da una generazione che acquistava dischi, e continuando ad acquistarli, capisco che ormai bisogna rapportarsi in maniera diversa. Però mentre prima c'era una struttura discografica che non rimpiango, e in cui però erano chiari i passaggi, adesso è più complicato, giusto ieri parlavo con dei ragazzi che mi dicevano che non sono interessati al disco ma mettono i lavori su internet, per vedere quello che succede. Nemmeno loro sono sicuri capisci? non c'è una garanzia, non c'era neanche prima ma c'era una struttura di riferimento.
11) Dal punto di vista musicale, cosa hai visto cambiare nel panorama italiano? forse voi siete stati i predecessori del post-rock e in qualche modo dell'indie...
Indie non mi è mai piaciuta come definizione, post-rock è vero invece, perché ci muovevamo contemporaneamente a quella scena americana. Com'è cambiato il panorama? adesso mi sembra che la scena degli anni '90, che era coraggiosa, con gruppi con identità precise, sia sparita, c'è più omologazione e tuttavia emergono cose degne di nota.
12) In un'intervista di Michele Vaccari per Rockit dicevi una cosa molto bella sulla scena musicale: negli anni ’90 si facevano scelte precise politiche e anche su dove andare a suonare, quando andarci a suonare. C’erano le major che avevano un altro approccio rispetto agli artisti, vi seguivano più da vicino come
13) E musicalmente? dove stiamo andando?
Vedo un recupero del cantautorale, penso agli Zen Circus...c'è sempre la stessa attenzione per i testi, e poi non so, si ascolta forse meno elettronica e i gruppi italiani non ne fanno uso massiccio nel rock, ma secondo me tornerà.
14) Una domanda da fan: il progetto “El Muniria” continuerà?
Sì, non so esattamente quando, ma ci siamo rivisti proprio in questi giorni con Massimo Carozzi e abbiamo voglia di fare un disco più elettronico rispetto al primo.
[l'audio integrale dell'intervista del 29 novembre è a questo link, quello dell'intervista del 27 marzo lo trovate qui]
Il Primo Dio by massimovolume
Una curiosità
MARZO: Nella carta d'identità hai scritto "scrittore"?
Sì, credo di sì. Ma ci tengo molto anche all'apporto musicale, per quanto meno rilevante di quelli di Egle e Stefano che sono chitarristi e con strumenti attraverso cui è più facile sviluppare un'idea, però allo stesso tempo non rinuncerei mai al basso.
NOVEMBRE: Nella carta d'identità? Sempre "scrittore"?
No, ora ho scritto musicista, è quello con cui mi guadagno da vivere.
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