Quella che vi proponiamo oggi è un'intervista lunga quasi un anno, dal
27 marzo al
29 novembre 2010, e un
Emidio Clementi che spazia nel racconto, dagli inizi, alla musica, agli anni '90, alla composizione, e arriva ad oggi, alle
Cattive abitudini che ad aprile erano solo loro, oggi anche nostre.
La prima volta l'abbiamo incontrato nel camerino de
Il Covo, storico locale bolognese in cui di lì a breve si sarebbe esibito per un live speciale, dove i
Massimo Volume eseguirono soltanto
Stanze, il primo lavoro, succedendo sul palco ai
Giardini di Mirò (si festeggiavano i 20 anni di vita del Covo).
La seconda, in una diretta telefonica nel corso de
Gli IndiePatici.
A voi il gusto di indovinare quali domande siano "vecchie" e quali nuove (con una dovuta eccezione). O semplicemente di godervi le parole di Mimì.
1) Tornano dunque i Massimo Volume, dopo troppi anni di assenza. Stanze, il primo lavoro, è del 1993. Registrato in soli tre giorni, dopo aver iniziato a suonare in una cantina, con due casse talmente sgangherate da costringervi a tenerle al massimo volume (da qui il nome del gruppo), e esservi fatti notare con un EP. Da quella cantina alla pubblicazione di Stanze quant'è cambiato in voi in termini di consapevolezza? e da allora ad oggi?
Da allora ad oggi è cambiato, sì, come è cambiato l'approccio del pubblico nei nostri confronti, all'inizio è stato difficile anche se non eravamo i primi a proporre la parola recitata in musica, però c'erano pochi esempi, gli Starfuckers prima di noi, in parte i CCCP (che utilizzavano più una litania). Rispetto a venti anni fa c'è più attenzione nei nostri confronti, prima c'era solo un nocciolo duro che ci seguiva. Dagli inizi invece è cambiato che la scena all'epoca viveva la pubblicazione di un disco come un punto di arrivo, mi ricordo che il giorno che prendemmo in mano le copie di Stanze fu emozionante.
2) Nel libretto di
Da qui (1997) citate
Alejandro Jodorowsky: "io allora comprendo che non è bene cercare la sicurezza, perché conduce alla morte; e che è meglio vivere nell'incerto"; mentre in un pezzo di "
Club Privé" (1999) canti "io non ho speranza, ma credo nella cura" in un modo anche ossessivo. E' una filosofia di vita la tua, che comprende entrambi gli estremi, o nel '99 stavi lavorando alla stesura della legge Biagi?
(ride, ndr)
A quella frase di Jodorowky tengo molto, venivo dalla lettura di "Teresa si arrabbia con Dio"...lo conosco poco come regista, ma quel romanzo mi piacque tantissimo e volevo che ci fosse lui in qualche maniera, perché mi aveva influenzato anche nella maniera della scrittura. Ma i nostri testi sono pieni di contraddizioni, anche nello stesso brano: questa sera faremo Tarzan, le cui prime strofe sono in completa contraddizione con la seconda parte, ma nel complesso poi secondo me funzionano (ride, ndr).
3) In
Alessandro, invece, che è una canzone di Stanze, descrivi un disagiato, ma dalla sua prospettiva, e la canzone alla fine lascia una sensazione positiva, sembra parli di cose fatte da una persona per arrivare a un obiettivo. Ne
Il Primo Dio invece citi - e la dedichi - a
Emanuel Carnevali, poeta, scrittore, agitatore culturale, una sorta di eroe romantico disperato nella consapevolezza di aver perso la giovinezza senza essere riuscito ad arrivare. Oltre che per le storie umane, perché questo fascino per le persone che in qualche modo non sono arrivate? è l'idea che avrebbero potuto dire tanto?
Sai, è difficile capire quando una persona sia degna di essere raccontata, non riesco a rispondere, non c'è solo la disperazione ma forse un rapporto di solitudine rispetto all'esistenza. Mi piace il rapporto di solitudine rispetto al mondo. Alessandro spesso è stato scambiato per un autistico, in realtà è un ragazzo con problemi motori. Mi piace che cogli una positività nel testo, perché era un ragazzo comunque energico. Nel caso di Carnevali forse mi affascina più la voglia e la sete di successo, e credo che lui lo volesse con qualsiasi mezzo, era anche spregiudicato e dunque non c'è un crogiolarsi nel fallimento, non è un "loser" e non è mai stato affascinato da quella figura.
4) Avete nel vostro curriculum la sonorizzazione di un film muto, "
La caduta della casa Usher" (
Jonathan Epstein, 1928), ma anche la partecipazione alla colonna sonora di "
Almost Blue", con alcune canzoni. Il vostro rapporto con il cinema? quale delle due situazioni è più adatta a voi?
Sono state entrambe belle esperienze, perché si lavora in funzione del film quindi ci si sente deresponsabilizzati rispetto al disco vero e proprio. Esperienze anche snelle perché siamo riusciti a completare la colonna sonora in un mese e mezzo-due, tempo brevissimo se consideri che di solito per completare un disco impieghiamo almeno un anno e mezzo-due. Ne capitassero di occasioni del genere! In realtà il mondo del cinema è molto chiuso, con Alex Infascelli
(regista di Almost Blue, ndr)
eravamo amici e la collaborazione è nata in maniera non ufficiale, da un rapporto di amicizia. L'altra è stata su commissione, è un periodo in cui sono richieste le rimusicazioni, l'hanno fatto anche Marlene Kuntz e Yo Yo Mundi. Il problema è anche che il numero dei film è limitato, non si riesce a dare neanche un'impronta propria al film.
5) Il ritorno alla musica è avvenuto proprio dopo la sonorizzazione de “
La caduta della casa Husher”. In che modo questa esperienza è stata uno stimolo?
E’ stata uno stimolo perché la rimusicazione è stata un lavoro inedito. Nel riuscire a tirare fuori ancora della nuova musica, ci è tornata voglia di rimetterci in gioco. Così abbiamo pensato a delle canzoni nuove, a un disco nuovo. Poi è passato del tempo, dalla sonorizzazione all’inizio del lavoro per “Cattive Abitudini”, mentre il disco è venuto fuori piuttosto in fretta.